Studio UniPg su "Nature Communications"

23 dicembre 2025

Come vivono e come muoiono i microbi alle basse e alle alte temperature


 

Una nuova ricerca internazionale, pubblicata sulla prestigiosa rivista scientifica  "Nature Communications", rivela perché alcuni microrganismi non sopravvivono quando si aumenta la temperatura anche solo lievemente.

Lo studio, basato su esperimenti di spettroscopia neutronica e simulazioni di dinamica molecolare, mostra che nei batteri adattati al freddo la morte cellulare avviene molto prima che la struttura delle proteine cominci a danneggiarsi – unfolding -, evidenziando una inaspettata fragilità termica.

Il progetto, coordinato dal prof. Alessandro Paciaroni, del Dipartimento di Fisica e Geologia dell’ Università degli Studi di Perugia, ha visto la dottoranda Beatrice Caviglia svolgere un ruolo chiave nella realizzazione di alcuni esperimenti di spettroscopia neutronica presso il prestigioso Institut Laue-Langevin - ILL di Grenoble, in collaborazione con la prof.ssa Judith Peters - ILL, Université Grenoble Alpes e CNRS- e in alcune simulazioni di dinamica molecolare insieme al prof. Fabio Sterpone - Université Paris Cité e CNRS.

 

Il ruolo delle proteine nella morte delle cellule

Per comprendere se il legame fra l’unfolding proteico e la morte cellulare fosse universale, i ricercatori hanno confrontato la mobilità del proteoma in tre organismi adattati a condizioni termiche molto diverse: lo Psychrobacter arcticus - psicrofilo, ovvero adattato al freddo, l’Escherichia coli - mesofilo, adattato a temperatura ambiente e l’Aquifex aeolicus - ipertermofilo, ovvero adattato a temperature molto elevate.

Il risultato è sorprendente: in Escherichia Coli e Aquifex aeolicus la morte cellulare avviene a temperature molto vicine a quelle a cui inizia l’unfolding proteico, ovvero il danneggiamento delle proteine. Al contrario, in specie come lo Psychrobacter arcticus, tipica degli ambienti polari, le cellule cessano di funzionare a temperature circa 20 °C più basse rispetto a quelle in cui le proteine iniziano a perdere la forma funzionale.

L’ipotesi proposta dal gruppo di ricerca è che l‘adattamento al freddo estremo richiede che alcuni enzimi chiave aumentino la propria flessibilità al fine di ottimizzare l’efficacia alle basse temperature; tuttavia, questa maggiore flessibilità fa anche sì che l’attività metabolica di questi stessi enzimi collassi già solo per lievi aumenti della temperatura medesima.   

Le possibili applicazioni dello studio

Questi risultati ridefiniscono la relazione tra dinamica citoplasmatica, stabilità del proteoma e sopravvivenza microbica, aprendo prospettive in numerosi ambiti applicativi. Studi come questo, possono guidare la progettazione di enzimi e microrganismi più stabili ai cambiamenti di temperatura - ambito biotecnologico -  e suggerire strategie termiche più efficienti e sostenibili per controllare la crescita microbica nella food science.

La maggiore comprensione della sensibilità termica dei batteri psicrofili è rilevante anche per valutare l’impatto dei cambiamenti climatici sugli ecosistemi polari, dove lievi aumenti di temperatura possono compromettere specie chiave.

Inoltre, le informazioni sui meccanismi di morte cellulare indotti dal calore possono anche contribuire all’ottimizzazione delle terapie oncologiche basate sull’ipertermia, ovvero le terapie che sfruttano l’aumento controllato della temperatura per colpire selettivamente le cellule tumorali.

Lo studio, infine, fornisce indicazioni preziose per la ricerca sugli ambienti estremi, migliorando la nostra capacità di comprendere i limiti della vita sulla Terra e di identificarne potenziali tracce in altri mondi.

L'articolo è consultabile all'indirizzo: https://doi.org/10.1038/s41467-025-65270-5

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